lunedì 30 giugno 2014

INCONTRI SENZA MICROFONI


Quando sono stata invitata a partecipare al forum democratico relativo alle scelte politiche, sociali ed economiche attinenti alla zona del Trigno,  ho pensato al solito incontro in un aula fredda e cinica, in cui politicanti e uomini "di parole", si sarebbero alternati nel dibattere su questa o  quella faccenda, utilizzando termini e parole sconosciute ai più.
Mi sono sbagliata!
Intanto la cornice, non era la solita stanza fatta di scrivanie, microfoni e sedie, chi da una parte chi dall'altra, ma un agriturismo.
Un'azienda agricola nata in un territorio, che grazie alla caparbietà e al duro lavoro di Claudio, ha preso forma, dando nuova vita a un realtà contadina come tante altre tra le nostre colline, impreziosendola.
Quello che ha caratterizzato l'incontro  è stato, a dispetto di quanto avevo pensato, la "circolarità" del dibattito, nella sua forma geometrica vera e propria, in quanto eravamo seduti uno accanto all'altro, e nella sua scaletta di interventi poiché tutti hanno avuto la possibilità di esprimere il proprio pensiero su quella che è la nostra realtà quotidiana.
Ciò che mi ha sorpreso è stata la frase, ricorrente di molti volti nuovi, che asseriva più o meno così "io non mi occupo di politica".
In realtà è vero, al nostro incontro non c'erano "politicanti " in giacca cravatta con microfoni,  a vendere parole, c'erano CITTADINI.
Liberi professionisti, dipendenti privati e pubblici, imprenditori, professori, mamme , donne e uomini che non fanno politica nel senso classico del termine ma si confrontano, dibattono e soprattutto hanno a cuore un territorio, preso in eredità dai propri nonni e genitori e destinato a figli e nipoti.
Ciò che mi ha sorpreso è stata proprio la comunicazione, diversa, nuova che, nata da un nuovo modo di fare politica a livello nazionale ed europeo, si sta affermando in tutti gli ambiti che riguardano la cosa pubblica.
Cioè che ho apprezzato di questo incontro,
è stata proprio questa nuova forma di comunicazione, questa uscita dagli schemi classici di una politica di parole, di una politica di palazzi e inciuci... Questo incontrarsi, uno accanto all'altro per dibattere, confrontarsi su quello che è il nostro futuro.

E allora se questo è il nuovo modo di fare politica ben vengano gli incontri "circolari", i dibattiti, o forum pregni di  idee e gente comune disposta a mettersi in gioco per il nostro fervente territorio...
Al prossimo incontro....

Roberta D'Adamo

giovedì 19 giugno 2014

C’ERA UNA VOLTA IL FIUME TRIGNO


Anticamente denominato Trinium (dal latino), in quanto nasceva da tre polle d’acqua alle falde del Monte Capraro, i primi 35 km scorrono totalmente in territorio molisano, mentre per altri 45 km il fiume Trigno segna il confine tra Molise e Abruzzo, fino a 6 Km dalla foce presso San Salvo. Nei miei ricordi di ragazzo, questi ultimi sei chilometri prima che il fiume si immerga nel mare Adriatico,  sono legati ai ricordi che ho di mio nonno e alle passeggiate che facevamo lungo le sue sponde, scendendo dall’altezza del vecchio ponte che collegava San Salvo a Montenero, verso la foce e viceversa. Le prime luci dell’alba ci vedevano già sul posto, l’aria era pungente  ma il sole cominciava timidamente a irradiare il proprio calore;  tutto intorno un’esplosione di colori, odori e “voci” e li in mezzo scorreva il fiume, limpido e brillante nel suo ampio letto ciottoloso. Solitamente costeggiavamo la sponda sinistra del fiume, caratterizzata da “terrazzi” ghiaiosi limitati per lo più da una vegetazione cespugliosa che di rado lasciava il posto a specie arboree ad alto fusto come pioppi e acacie, forse un ricordo di quello che un tempo era Bosco Motticce e che nella memoria di mio nonno figurava come un bosco ricco di alberi e piante varie e variegate, che si estendeva per diversi chilometri da sud a nord, meta di passeggiate per le genti locali.  Camminare mette sete e allora ci avvicinavamo all’acqua per bere. Era buona, fresca, sapeva di acqua. Sulla sponda opposta passa un’animale che sembra una volpe. Forse aveva la tana nei Calanchi argillosi che costeggiano la sponda destra del fiume. Allora non sapevo ancora cosa fossero i calanchi, a me sembravano creste grigie di dinosauri appoggiati sulla collina.
Ora so che sono un affascinante processo geomorfologico originato dall’azione dell’acqua e degli agenti atmosferici che producono solchi nei terreni impermeabili ma facilmente disgregabili, determinando incanalature profonde e strette, separate da creste rocciose esili, con pareti assai inclinate e costituiscono un ambiente di particolare valore naturalistico per la loro conformazione e per la flora e la fauna che ospitano. Poco più avanti della confluenza col canale Formale del Mulino, il fiume curvava con un ampia ansa all’interno dell’area alluvionale e li la mia visione si allungava, scivolando tra i campi coltivati della Piana della Padula. La superficie di ciottoli e sassi di infinite dimensioni e vari colori, mi sembrava enorme e anche il fiume appariva più ampio allungando il contatto tra acqua e terra, forse il preludio all’ultimo tratto prima della foce, dove il letto si restringeva formando dei canali tra diversi “isolotti” ricchi di biodiversità, e dove la vegetazione ripariale si infittiva  di cespugli, salici, pioppi e robinie e così noi tornavamo indietro. Ecco, forse fu allora che nacque il mio amore e rispetto per la natura che aveva creato quell’ambiente così bello e la curiosità di come il tempo, gli eventi e la magia che aveva formato, modellato e dato vita a quel paesaggio, mi ha fatto scegliere la mia professione.
Oggi che sono geologo sento sempre più spesso parlare di dissesto idrogeologico, ossia quell’insieme di processi morfologici dall’azione altamente “distruttiva” sul territorio. Ma le manifestazioni violente della natura come frane, inondazioni, straripamento di un fiume, ecc. sono fenomeni casuali, naturali e non prevedibili, che avvengono dall’alba dei tempi. La trasformazione di questi fenomeni in catastrofi e tragedie invece, è opera dell’uomo che, con le sue attività come abusivismo, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia degli alvei,  agricoltura intensiva, sversamenti di fluidi inquinanti, escavazioni di inerti senza controllo, ha alterato e distrutto il delicato equilibrio naturale  dei corsi d’acqua e dell’ habitat che li circonda, non ultimo quello del fiume Trigno. Ora che di mio nonno mi rimane solo il ricordo, mi è capitato diverse volte di ripercorrere quel tratto di fiume, scendendo dal vecchio ponte (che non esiste più perché crollato) o salendo dalla foce, ma trovandomi di fronte ad un quadro di deturpazione  devastante, che ti riempie il cuore di tristezza. Montagne di ghiaia e sabbia depredate dalle cave “autorizzate” e accumulate ai lati delle sponde, che nel medio e nel lungo periodo sono la cause principale dell'erosione delle coste per il mancato apporto al mare di materiale litoide, nonché dell’incisione del letto del fiume e del possibile crollo di ponti; cumuli di rifiuti, pneumatici, frigoriferi, plastica, vetro, polistirolo, legno, cartongesso e materiali di ogni genere che si fanno beffa di cartelli arrugginiti con su scritto “divieto di scarico”; sponde crollate per mancanza di vegetazione e per erosione dall’acqua costretta in deflussi innaturali, pozze di liquami maleodoranti e schiume fluttanti come candide nuvolette; condotte metalliche di prelievo “incontrollato” di acqua a servizio di appezzamenti coltivati al margine del corso d’acqua e non da ultimo il lezzo della discarica di Bosco Motticce (non ho mai capito perché quel posto si chiami ancora Bosco).
E’ stretto ora il letto del Fiume Trigno, guardo sull’altra sponda, quella molisana, ma non vedo nessuna volpe  passare e il mio dinosauro (calanchi) ha una ferita profonda provocata dalle ruspe. Ho sete ma non posso bere come facevo da ragazzo, la sua acqua è inquinata (è di questi giorni l’ennesima notizia del suo inquinamento, questa volta da salmonella) e sono triste.
P.S.:
Voglio concludere ricordando due cose:
La prima è che il Sito di Importanza Comunitaria IT7140127  interessa  il medio e basso corso del Fiume Trigno in provincia di Chieti, nel tratto compreso tra Celenza sul Trigno e San Salvo. Si tratta di un’area molto rilevante dal punto di vista naturalistico che necessita, perciò, di forme di tutela ambientale che allo stato attuale sono completamente assenti.
La seconda è una citazione del punto 4 della Carta della Terra redatta dall’UNESCO nel 2000:  “LA NOSTRA STORIA E QUELLA DELLA TERRA SONO INSEPARABILI; LE SUE ORIGINI E LA SUA STORIA SONO LE NOSTRE, IL SUO FUTURO SARÀ IL NOSTRO FUTURO". 

Pino Ciavatta

mercoledì 28 maggio 2014

LA NOSTRA EUROPA


Andrea Rocchelli


Domenica 25 maggio, le nostre televisioni, radio, monitor, erano invasi da un’unica notizia: le votazioni europee.
Nello stesso giorno, la Farnesina dava conferma della morte di uno dei nostri ragazzi, Andrea Rocchelli, trent’anni,  fotoreporter italiano, ucciso da dei colpi di mortaio, mentre cercava di documentare i motivi di un conflitto.
Cosa accomuna questi due fatti?
La mia è una generazione cresciuta all’interno di confini, fisici e politici. A otto anni sotto il balcone di casa, scoppiava una bomba nella sede del PCI, a diciotto ho vissuto l’entusiasmo dell’abbattimento del muro di Berlino, a trenta il passaggio ad una moneta unica. Ho vissuto il superamento di barriere fisiche e mentali, in cui il mondo veniva diviso in bianche e rossi, in italiani e stranieri.
E’ proprio per questo che la mia generazione, più di altre, comprende i limiti di un passato che ci ha visti divisi ed è tesa a costruire ponti.
Domenica l’Italia ha dato l’ennesima dimostrazione, d’essere un Paese che vuole COSTRUIRE  e non sfasciare. Abbiamo troppo sofferto in passato, per dimenticare a cosa ci porta la rabbia cieca.
Andrea Rocchelli è figlio del nostro Paese, un uomo che ha dedicato la sua vita all’informazione senza filtri, quella fotografica, quella in cui le immagini non lasciano adito ad interpretazioni.
L’Italia, oggi, grazie al voto e all’impegno di molti italiani, è più forte, è più europea! La nostra voce dovrà essere ascoltata, la nostra immagine non potrà essere bistrattata. Abbiamo la forza delle idee, ed oggi anche quella dei numeri. L'Europa che non potrà più basare la sua forza solo sui conti, ma dovrà divenire più solidale per essere come ha dichiarato in sede europea il nostro premier Matteo Renzi, “Un’Europa che dia voce ai cittadini e non solo alle banche!”.
Domenica l’Ucraina, era lì tra le notizie che correvano sui nostri tablet e smartphone, a ricordarci che lo scontro, la divisione, portano solo morte e decadenza. Andrea Rocchelli con la sua morte, ci ha dimostrato che la guerra non è mai troppo lontana,  e che solo UNITI si può crescere e prosperare. 

Antonia Schiavarelli
Foto di Andrea Rocchelli Ucraina 2014

Foto di Andrea Rocchelli Ucraina 2014

Foto di Andrea Rocchelli Ucraina 2014

venerdì 23 maggio 2014

L'IMPORTANZA D'ESSERE EUROPEI

 

 THE IMPORTANCE OF BEING EUROPEAN

C'erano una francese, un'albanese, un irlandese, due, tre a volte anche più spagnoli e un'italiana.
Sembra l'inizio della classica barzelletta da ombrellone, invece è la testimonianza reale di un'esperienza all'estero condivisa, nel vivere quotidiano, nella città più multietnica e globalizzata d'Europa: Londra.
A Londra la crisi economica europea è evidente, tangibile, concreta: si incontra nei pub, nei café, alle fermate metro.
"The next stop is Piccadilly Circus" - ma la sensazione è quella di trovarsi a Plaza Mayor, se non fosse per i neon accecanti della famosa piazza inglese.
Non è stato un caso, né una coincidenza, l'aver condiviso l'appartamento con 5 spagnoli su 6 coinquilini. La presenza italiana oltremanica non è da meno, preceduta, solo pochi anni fa, dalle invasioni galliche dei cugini francesi.
Il punto di ritrovo della combriccola internazionale era un café su Oxford Street.
Si parlava e si affrontavano gli argomenti più disparati, con l'intento di migliorare la conoscenza della lingua inglese, consapevoli se non allora, ma di sicuro ora, che il bagaglio personale e culturale, al rientro, avrebbe contenuto molto di più di nuovi termini inglesi, e che il suo peso, avrebbe raggiunto un valore inestimabile.
Le conversazioni si facevano più interessanti, quando oltre alla presenza di altri stati membri europei, si aveva la fortuna di interagire con quelli extraeuropei e il tavolo assumeva una connotazione mondiale, simil Nazioni Unite.
La ragazza francese ha imparato, da altre libiche, che indossare il velo non è un tentativo di minaccia sociale o terroristico, nè un obbligo o una punizione dettata dai loro governi iperconservatori, ma una semplice appartenenza culturale di cui vanno fiere e senza il quale si sentirebbero nude.
La ragazza albanese, con ferite ancora aperte per una guerra che ha segnato la sua infanzia e con gli occhi ancora pieni di rancore, ha imparato che i suoi coetanei confinanti, non sono folli sovversivi, ma anche loro vittime di conflitti estranei alle loro semplici esistenze, all'epoca, di inconsapevoli bambini balcanici.
Quella stessa ragazza, per orgoglio personale e per uno spiccato senso nazionalistico, alla fine ha confessato, di provare una sana invidia per quella mancata appartenenza europea, se non altro per il semplice fatto di poter scorrazzare liberamente, come Noi, cittadini europei, senza confini, dogane, visti e soprattutto tentare nuove esperienze lavorative, o semplicemente studiare, senza doversi preoccupare di innumerevoli cavilli burocratici.
Io ho imparato, che il mio Paese è molto più amato all'estero che in casa Nostra e ha delle potenzialità enormi che tutto il mondo ci invidia, ma che nessuno teme, proprio perché appartenenti ad un popolo poco credibile ed inaffidabile; anche se in molti preferirebbero l'Italia, nel ruolo trainante della poco simpatica Germania.

A Londra, come in ogni parte del mondo, il Made in Italy è sinonimo di qualità, perfezione, una garanzia di stile e buon gusto.
In un Sainsbury's gli scaffali della nostra pasta abruzzese De Cecco in "offerta"(considerando le sterline), venivano letteralmente assaliti. Una pasta di alta qualità ed economicamente poco accessibile se non in promozione, come la maggior parte dei nostri prodotti italiani. In un pub di Candem Town, avere a disposizione la birra Peroni, costituiva un vanto, da pubblicizzare ovunque; e diciamoci la verità la Peroni non è di certo la nostra birra più pregiata. L'olio extravergine d'oliva rigorosamente italiano, era considerato oro puro dai coinquilini, da utilizzare con il contagocce e solo in occasioni speciali.
In una classe europea, l'Italia sarebbe il classico ragazzino definito scolasticamente, intelligente, pieno di risorse, ma che non si applica.
"What's wrong with you?" - Quel'è il vostro problema? - Era la domanda, alla quale venivo quotidianamente sottoposta, da chiunque, qualsiasi fosse la provenienza dell'interlocutore.
La risposta più immediata: la lunga crisi degli ultimi anni travolgente e una classe politica inadeguata, ormai tappezzeria impolverata delle sedie parlamentari. Poi c'è la risposta più difficile da comprendere e da spiegare, ma soprattutto da ammettere con noi stessi: la mentalità italiana del "non è colpa mia", così difficile da sdoganare, ma così facile da convincere con urla e schiamazzi politici, comizi populisti per niente costruttivi, peraltro a pagamento. Questo modus vivendi tutto nostrano fatto di accuse, frasi fatte, concetti fuorvianti ben impacchettati, da propinare a chi ha paura di mettersi in gioco o semplicemente poco capace di affrontare le responsabilità del rischio, di trovare soluzioni ai problemi.

Del resto è più semplice pensare che l'inadempienza produttiva, economica, governativa, non sia nostra responsabilità. È più comodo indossare i panni di "vittime dei crucchi" che quelli di un FALLITO che non è in grado di gestirsi.
Non a caso, i partiti antieuropeisti dilagano, e in quelli europeisti, le Minoranze, SILENZIOSE, in piena campagna elettorale, sono interessate solo ad un risultato che possa permettere loro di giudicare un governo mai digerito, sebbene sia dello stesso colore. Peccato che in gioco ci sia l'Europa.
Siamo stremati dal solito martellante ritornello: è colpa della Germania, strappiamo i trattati, saltiamo sui banchi, marciamo su Roma.
Utilizzando un parallelismo calcistico, é un po' come se il Sassuolo a seguito di una stagione deludente, a rischio retrocessione, chiedesse alla Juventus di strappare le regole del gioco del calcio, peraltro concordate da tutte le società partecipanti. Eppure la Juventus fino a qualche anno fa, era una squadra di serie B, così come la Germania quando era ancora divisa dal muro di Berlino; ma rispettando le stesse regole, oggi è la prima in classifica. Eppure l'Italia, per storia, cultura, risorse, potrebbe essere benissimo paragonata non al Sassuolo, nemmeno ad una società vincente come la Juventus, ma dovrebbe non accontentarsi, aspirare al meglio, diventare, per esempio, l'Inter, specifichiamo subito, quella del Triplete (per le donne e per chi non segue: quella che sbaragliò tutto e tutti, vincente su ogni fronte, anche in Europa).
Ma occorre passione per progettare un'idea comunitaria, coraggio per poterla costruire, ambizione per poter raggiungere i massimi livelli.
È evidente, l'Europa è tutt'altro che perfetta, è un progetto ancora tutto da costruire, ma ha già dimostrato di poter funzionare, fornendo vantaggi enormi che utilizziamo tutti quotidianamente, ma che non vediamo più, solo perché ormai scontati.
Vantaggi non affatto scontati per quei ragazzi extraeuropei seduti a quel tavolo insieme a Noi cittadini comunitari a parlare della "Nostra Patria Europa", come la definiva De Gasperi, padre fondatore Europeista e politico lungimirante, in un discorso del '54, ancora tutto attuale.
È proprio Discutendo intorno a quel tavolo, nella fredda Londra a sorseggiare un simil caffè che Michelle, Mathilde, Raul, Enrique, Roberta, Christophe, Andreza, hanno imparato...The IMPORTANCE of being EUROPEAN.

ROBERTA PANTALONE


 
Roberta nasce a Lanciano
il 15 agosto del 1983.
Si laurea in ingegneria
edile/architettura nel 2009.
La passione politica nasce
grazie a Matteo Renzi,
con le primarie del 2012,
divenendo una dei fondatori
del comitato San Salvo Adesso
a sostegno della candidatura
del nostro attuale segretario.
In borsa ha un libro, una matita
e un Moleskine. Corre le Strade.

mercoledì 21 maggio 2014

TRA TERRA E MARE...

Il mio essere abruzzese va al di là del semplice essere nata in Abruzzo. Vuol dire avere a cuore una terra, che si estende dalle coste marine, alle cime montane, passando per dolci colline.
Per me vivere in Abruzzo significa amare la mia regione, sentirsi parte d'essa, condividerne le gioie e le tristi delusioni.
Negli ultimi anni l'Abruzzo viene ricordata sui giornali e alle televisioni, per il tristissimo terremoto de L'Aquila, per le vicende di corruzione e sciacallaggio, sulla ricostruzione di un capoluogo oramai ferito nell'anima umana ed edilizia.
Nella zona del vastese, ci ricordiamo delle vicende che hanno visto morire piccoli centri, come Gissi, con il suo polo ospedaliero ed industriale, schiacciati da una politica di tagli e austerità; e ancora dei fatti di cronaca: gli assalti ai porta valori nel tratto autostradale Vasto-San Salvo, gli scippi in pieno giorno nei centri storici, i numerosi arresti di gente che nelle nostre città, San Salvo o Pescara in maniera specifica, hanno trovato un crocevia favorevole ai numerosi traffici illegali con Puglia, Campania e Albania .
Ma io oggi non voglio parlare di questo Abruzzo. Il mio essere abruzzese, nel cuore e nel sangue, mi fa guardare a una regione che ha altro, molto altro da offrire, alla sua gente e ai molti che scelgono di venirci in vacanza o anche di passarci il resto della vita.
Non occorre partire dalla sua storia, per capire che questa splendida perla d'Italia da sola è nata, si è sviluppata  ed è cresciuta grazie alla caparbietà della sua gente, che ha saputo mandare nel mondo i suoi figli migliori, Ovidio, Flaiano e D'Annunzio per citarne i più famosi.
Non occorre necessariamente leggere un passo di questi autori, per gustarne le immagini. Ci basta percorrere il litorale che da Vasto ci porta a Pescara... osservare il mare, " i trabocchi", la flora, le barche all'orizzonte...il giallo dei fiori che sboccia sulla costiera, che dalla roccia prendono vita.
Basta passeggiare in un qualsiasi borgo collinare o marinaro a ora di pranzo e liberare l'olfatto, per capire cosa spinge migliaia di turisti a decretare la nostra, come la miglior cucina italiana.
La scelta di materie prime d'eccellenza, il pesce dell'Adriatico, lo zafferano di Navelli, la pasta di Fara San Martino, le patate della valle del Fucino, i prodotti ortofrutticoli, uniti alla passione e alla sapienza di tradizioni lunghe secoli e tramandate di generazione in generazione, fanno della nostra gastronomia un fiore all'occhiello dell'intero Paese.
E' dalla tradizione, nata dal lontano 1400 a Sulmona se oggi, in tutti i paesi del mondo allietiamo le nostre occasioni speciali con coloratissimi e dolcissimi confetti o se ovunque apprezzano e stimano la nostra arte orafa e la nostra abilità nel lavorare i metalli preziosi.
E' grazie alla maestria, all'amore per  questa terra, alla caparbietà e all'intuizione dei nostri imprenditori, se nella nostra regione, quello che era un semplice settore primario, di agricoltura e allevamento oggi  vanta nomi eccellenti nel  panorama nazionale vinicolo.
Una politica lungimirante ha fatto sì che poli industriali importanti come la Sevel, la Pilkington o la Fater localizzassero qui le loro sedi, permettendo alla nostra regione di sviluppare anche il settore secondiario.
Le città di Pescara, Teramo, Chieti, Lanciano e Vasto si sono enormemente diffuse nel territorio creando veri e propri centri cruciali e fondamentali nella vita dei cittadini, per sbrigare faccende burocratiche o per gli studi o semplicemente per lo shopping.
Ai giorni nostri, la mia regione è tutto questo, un incontro di culture, di paesaggi che si uniscono senza mai prevalicare, di duro lavoro seguito da piacevole relax, di momenti devastanti ma mai distruttivi, perché questo siamo noi... perché questo è l'Abruzzo , " forte e gentile". Amiamo la nostra terra, che merita di essere preservata e curata, perchè è ciò che merita.
E metteremo tutto il nostro impegno, affinchè, la nostra regione esprima in futuro tutto ciò che di bello ancora ha da offrirci.


Roberta D'Adamo.

sabato 17 maggio 2014

MEGLIO... PANE OLIO E POMODORO



Il 17 e il 18 maggio, la più famosa crema spalmabile al mondo, ha compiuto 50 anni. Se ne parla sui giornali, sui social network, gli hanno addirittura dedicato uno spazio nei telegiornali nazionali. 
Una vera e propria ovazione a quello che tutti, compresi alcuni campioni olimpici che ne hanno più volte pubblicizzato l’immagine, definiscono un alimento sano e nutriente adatto alla merenda dei bambini. 
La ricetta originale della nutella nel 1964 aveva solo 3 ingredienti: cacao, 48% di nocciole piemontesi e zucchero, oggi la percentuale di cacao è drasticamente diminuita, quella delle nocciole, non più provenienti dal Piemonte ma dalla Turchia e dall’Iran, è scesa al 13%, in compenso abbondano gli zuccheri raffinati e l’olio di palma, che arriva al 31,6%. 
Per la coltivazione di palme da olio, si sottrae terreno a foreste pluviali, caratterizzate dalla presenza di ecosistemi irripetibili al mondo. Preparare il terreno per la coltivazione, richiede interventi drastici come gli incendi, che distruggono centinaia di ettari di foreste ogni anno. 
Per soddisfare egoistiche necessità industriali , si stanno distruggendo numerose specie vegetali ed animali che si trovano improvvisamente private del proprio habitat naturale. La deforestazione interessa zone del mondo come la Costa D’Avorio, l’Uganda e l’Indonesia le cui foreste incontaminate vedono via via erosi i propri confini a causa della domanda crescente di un olio di cui il mondo potrebbe benissimo fare a meno. 
Distruggere le foreste Pluviali significa dire addio a dei veri e propri paradisi di biodiversità, significa compromettere definitivamente la funzione di quei polmoni verdi, che da millenni sono correlate alla produzione dell’ossigeno necessario alla sopravvivenza di ogni forma di vita, compresa la nostra. 
Secondo fonti autorevoli, l’olio di palma rappresenta il fattore di rischio emergente più importante delle nuove generazioni, nel 2013 L’OMS nella sua relazione “ Dieta, Nutrizione e Prevenzione delle Patologie Croniche” ha affermato che il consumo di olio di palma contribuisce ad aumentare il rischio di malattie cardiovascolari. 
Esistono in commercio numerose alternative, basterebbe solo leggere con maggiore attenzione le etichette riportate sulle confezioni , per contribuire concretamente alla salvaguardia del pianeta e della salute dei nostri figli. 
Facciamo si che i nostri ragazzi imparino ad apprezzare tutti gli alimenti di origine vegetale di cui il nostro territorio è ricco, proponiamo loro delle merende più sane, aiutiamoli a distinguere le categorie alimentari che li intossicano da quelle che invece li nutrono. 
Perché aldilà di tutto, è sempre meglio una bella fetta di pane olio e pomodoro!

Natalia Di Virgilio

Natalia nasce a Termoli il 24 dicembre 1974.
È titolare di un'erboristeria da 18 anni,
una passione che coltiva sin da bambina.
Schietta e solare, fa del suo lavoro una
pratica di vita, rendendo autentico
ogni suo dire.

giovedì 1 maggio 2014

TERRA E LAVORO

Se guardiamo attentamente le vecchie foto della nostra San Salvo sforziamoci di sentirne i suoni e gli odori, sforziamoci di entrare, per un attimo, in quelle istantanee che consegnano il tempo ai ricordi, un tempo che altri hanno pienamente vissuto. Le campane hanno appena smesso di suonare,  dall'attuale Corso Garibaldi, dei braccianti si dirigono verso la Porta della Terra per iniziare la loro dura giornata. A San Salvo terra e lavoro si prendono a braccetto, la terra fa vivere i salvanesi ed i salvanesi nutrono la terra con il loro sudore e la curano con le loro mani callose. Qui a San Salvo la terra abbiamo imparato a reclamarla e se qualche giovanotto su un cavallo non era proprio lo spirito del mondo invocato da Hegel, era sicuramente lo spirito di quei contadini umili ed onesti che invocavano lavoro, invocavano la terra e con essa una vita da vivere dignitosamente. Poi sono arrivati i forestieri, abbiamo imparato a fare gli orti, abbiamo imparato a coltivare la terra in modo diverso, a farla fruttare di più anche se il sudore continuava a bagnare la fronte ed il sole a scolpire le facce. Intanto il borgo diventava paese, le conche di rame portavano l'acqua delle vecchie fonti in sempre più case, le puteche si riempivano, i dialetti si mischiavano ma terra e lavoro continuavano ad andare a braccetto, uno accanto all'altra in passeggiate che si facevano sempre più lunghe e che andavano dalle terre dei monaci fino a quel grande fosso che sarebbe a breve diventato il giardino, la villa di tutti. Poi venne la ricchezza, il benessere diffuso della nostra locale rivoluzione industriale resa possibile da un'energia che veniva dalle viscere della nostra inseparabile terra. Terra e lavoro non vanno più a braccetto ma si tengono ancora stretta la mano, sono inseparabili. A San Salvo puoi vederli ancora passeggiare insieme, puoi ancora sentire l'odore di fango, polvere e sudore che ci hanno plasmati. Le passeggiate sono sempre più lunghe, di tanto in tanto ci si ferma per aspettare o per ricordare qualcuno perché a San Salvo Terra e Lavoro ci hanno insegnato che quando due mani si stringono e sudano insieme né si lasciano e né si dimenticano.

Tony Mariotti

mercoledì 23 aprile 2014

LA STORIA DI JACK

Jack è un pastore tedesco abbastanza avanti con gli anni. E' solo, forse abbandonato anni fa da qualcuno, che per qualche motivo, non ha potuto più prendersi cura di lui.
Un cane dalla mole grossa e con un cuore ancora più grande.
Chiunque, nel quartiere in cui vivo, conosce Jack. Ogni abitante ha messo almeno una volta a sua disposizione  una ciotola di acqua pulita o del cibo, lui ringrazia con gli occhioni immensi e consuma la sua razione di pasto.
Jack è un cane buono, non fa male a nessuno, i bimbi gli passano accanto e lui li riempie di amore, di quell'affetto che solo gli esseri speciali sanno donare agli altri.
Jack è solo uno dei tanti cani, che a volte, si incontrano sulle strade della nostra città, non chiede nulla e in silenzio accetta tutto ciò che il buon cuore di qualcuno gli dona.
Avere un cane, prendersi cura di un animale domestico, è un sacrificio. Bisogna provvedere a tutti quelli che sono i suoi bisogni, ma ciò che riesce a donare un piccolo amico è molto di più: è gioia, feste continue, affetto, fedeltà, è amore incondizionato.
 Prendiamoci cura dei nostri amici a quattro zampe, anche quando li troviamo abbandonati ai bordi delle strade, è un gesto di amore oltre che di civiltà!

Roberta D'Adamo

martedì 22 aprile 2014

IL GIORNO DELLA TERRA.


E’ stato il vento il mio primo approccio cosciente, con il mondo che mi circonda. Ero una bimbetta di pochi anni, ricordo il terrazzo di mia nonna, sul quale stendeva le lenzuola al sole, ne ricordo ancora il calore, ed ho ancora nitida l’immagine di me che mi nascondo tra quelle lenzuola, tirate dal vento come vele.
Ancora oggi è il vento che mi inquieta  e mi rende cosciente a volte con la sua irruenza di maestrale, a volte con la sua dolcezza di brezza mattutina, che siamo ospiti su questa terra.
La nostra Casa Terra,  diventa sempre più povera. Continuiamo a perdere le nostre risorse più importanti, consumatori ignoranti di quanto crediamo inesauribile.
Non servirà citare statistiche o specie in estinzione, questi dati ci vengono propinati a scadenza annuale da trasmissioni specializzate e li assorbiamo come se fossero il fastidioso tentativo di un venditore di pentole di venderci il suo prodotto. Credo sia più chiara per tutti la semplice affermazione, che se continuiamo con questo stile di vita, la nostra Casa cadrà a pezzi entro la fine di questo secolo.
La nostra specie, sarà estinta, i nostri figli, vedranno morire i nostri nipoti.
La nostra educazione, ha un immenso deficit, non siamo avvezzi al rispetto. Siamo educati all’onnipotenza, a credere che tutto ci sia dovuto, a credere che tutto sia stato creato a nostro uso e consumo.
Non c’è nulla di più errato. Siamo una componente, a volte superflua, di un ecosistema, che non ha bisogno di manipolazioni per essere assolutamente meraviglioso.
Dovremmo ad esso e a noi stessi, il tentativo di concepire un modus vivendi, che sia integrato con la Casa che ci ospita, e mettere fine in modo definitivo a tutti quegli atteggiamenti irrispettosi che mettono a rischio tutti noi e la Terra che ci ospita.
Facciamo parte di un tutto, non siamo al vertice di una piramide, dovremmo tornare ad imparare a chiedere alla nostra Terra, solo ciò che ci serve per vivere.
Nascemmo 50.000 anni fa come esseri nomadi, che prendevano  solo ciò che gli serviva.  Abbiamo cominciato a sfruttare la nostra Casa Terra da soli 10.000 anni, quando cominciammo ad essere stanziali.
Ci siamo auto reclusi in case sempre più chiuse che ci impediscono il contatto con l’esterno. Ci muoviamo in scatole di metallo e attraverso un finestrino, osserviamo le immagini che corrono veloci di un mondo che percepiamo sempre più come una scenografia ad uso e consumo di noi poveri teatranti. Ma il “nostro animo è nomade” come ebbe a dire Bruce Chatwin, ed è da qui che nascono molte delle nostre inquietudini, molti dei nostri malesseri.
Oggi festeggiamo la Terra, parliamo in tutto il mondo dei suoi dolori, proponendo delle cure. Si muovono nazioni, personaggi pubblici, capi di stato. Tutti noi, nel nostro piccolo, potremmo fare una cosa immensa, provvedere nel nostro futuro quotidiano alla cura di ciò che ci circonda, non delegando. Chiarendoci il perché di: trivellazioni nei nostri mari, veleni nei nostri fiumi, discariche abusive sui nostri terreni, immondizia sulle nostre strade.
Non ci staremo prendendo cura di qualcosa che è altro rispetto a noi, ma ci staremo occupando di noi stessi.

Antonia Schiavarelli











sabato 19 aprile 2014

LA CITTÀ CHE VORREI

Da quando mi trovo nella mia città, non sempre riesco ad essere spontanea. La mia è una quotidianità molto diversa da quella che mi aspettavo di vivere. Talvolta mi trovo a riflettere sul significato che possa avere, ai nostri tempi, il recupero della propria identità d’origine. San Salvo non è il paese dove ho scelto di tornare circa dieci anni fa. Nel passato ho cercato più volte di allontanarmene e ci sono anche riuscita, perché in fondo stare qui mi rende pigra, rassegnata, costretta. Dunque, cosa mi trattiene qui e, soprattutto, perché insisto?  Forse perché per me San Salvo è un po’ “Macondo”.

Macondo, una città fatta di specchi che riflette dentro di sé il mondo ed io, un po’ Josè un po’ me stessa, credo ancora si possa guarire dall’ignoranza e dal non vivere. Proprio come Macondo, la mia San Salvo nel tempo è cambiata in modo condizionato, in preda a eventi incontrollabili e straordinari che l’hanno sconvolta; la mia città ha assorbito ogni imprevisto, capace com’è di recepire novità e di accoglierne le conseguenze, adattandosi e modificandosi, incapace di evitare le ripetute e spesso autoprodotte disgrazie. Marquez ripete il tempo, i fatti e la vita per stigmatizzare l’inesorabilità e la forte dicotomia tra vivi e morti. E noi? Qual è il nostro ruolo? Noi possiamo opporci alla ripetitività e all’accettazione dell’inesorabilità dei fatti. Non siamo costretti ad accettare l’uragano! Ciascuno di noi può, se ne è convinto, recuperare se stesso, l’appartenenza al proprio mondo, al proprio vissuto e determinarne l’evoluzione futura. Nelle considerazioni apparse su questo blog, mi ha colpito molto la descrizione che fa Natalia della piazza, luogo di scambio di servizi non sempre socializzanti. A San Salvo manca la piazza come luogo di socializzazione, di incontro e di scambio di rapporti sociali. Non mi va di esaminare le ragioni socio – economiche e politiche che hanno determinato questa condizione, ma mi piace sottolineare la necessità di cambiamento. Recuperiamo la nostra città, partiamo da noi stessi, viviamo la città, occupiamone gli spazi, anche se per pochi minuti al giorno. Discutiamo di cultura, apriamo un dialogo con tutti, perché è qui che crescono i nostri figli. Permettiamo ai nostri figli di conoscerla come l’abbiamo vissuta noi e di apprezzarla a chi pensa che San Salvo non abbia avuto un passato fatto di persone che l’hanno amata. San Salvo ha ospitato due cinema, una stagione teatrale, molti circoli culturali, la piazza e i negozi, le tradizioni e le innovazioni, gli stranieri e i “forestieri” (come li chiamavano i nostri nonni), le aziende, le fabbriche, la politica e il confronto. Permettiamo a San Salvo di nascere a nuova vita. È il senso della Pasqua, l’incipit vita nova, no? È una questione di volontà, oltre che di coscienza.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950.



Angela Evangelista

venerdì 18 aprile 2014

LA PASSIONE DEL TEMPIO


Da sempre il campanile di una chiesa è il segno più eloquente per l'identificazione urbana e culturale di una città e della comunità in tutta la sua interezza.
Le chiese creano intorno a loro un tracciato urbano di cui rappresentano il fulcro, davanti al quale si dispone la vita quotidiana delle persone, fatta di attività, incontri discussioni. Sono luoghi che generano aggregazione, dai quali nasce e cresce il tessuto sociale.
Da sempre il suono delle campane parla un linguaggio pubblico oltre che sacrale: i rintocchi scandiscono le attività giornaliere, proclamano alla collettività eventi da condividere, allertano la popolazione in caso di spiacevoli accadimenti.
La valenza di questi luoghi non è solo religiosa ma sociale, sarebbe, quindi, riduttivo considerarli solo luoghi di culto. Appartengono di conseguenza, al complesso di beni culturali di cui la comunità cristiana fruisce, ma che l'intera cittadinanza dovrebbe voler tutelare, recuperando la propria dimensione storica e culturale.
È necessario pertanto, che da questo luogo, in cui spesso si evidenzia la dispersione delle radici cristiane, sociali e della memoria storica, si denunci anche lo stato di DEGRADO della propria chiesa.
La parrocchia di San Nicola, pur essendo la più giovane delle chiese della nostra città, sembra essere quella più colpita dagli effetti del tempo.
La pioggia, il vento, il sole dialogano con le pietre, i marmi, gli intonaci: i materiali vengono forgiati in modo tale da modificarsi nel tempo, l'uso degli stessi diventa parte integrante della vita di un'architettura, ma è impensabile che un luogo possa cristallizzarsi e che tutto rimanga intatto.
Il tempo deposita sulla superficie delle cose il peso degli anni, corrode gli edifici, e fa in modo che qualsiasi opera prodotta dall'uomo subisca mutamenti che la fanno invecchiare.
Quel tempo che passa e lascia il segno sui volti delle persone, così come sui luoghi e sulle sue architetture.
Non è il "culto del corpo" la sua cura, ma l'attenzione rivolta ad esso, alla sua pelle.
Come un palazzo storico, un monumento, ancor di più una chiesa, per tutto ciò che rappresenta, va amata e tutelata come un corpo vivo affinché non soccomba a quel processo inarrestabile di decadimento provocato dal tempo.
È indispensabile che l'intera  comunità cittadina sia attenta alle vicissitudini di una parrocchia come quella di San Nicola. Esiste un problema, ed è urgente chiedere a chi di dovere o all'interno delle istituzioni civili ed ecclesiastiche, di stanziare fondi per il proprio patrimonio e per la tutela e l'incolumità dei propri fedeli.
È impensabile, che nell'attesa di un 'eventuale' finanziamento delle opere di ristrutturazione, non si possa trovare una soluzione alternativa per reperire tali fondi nell'immediato.
Oggi i fedeli saranno richiamati a raccolta per celebrare i consueti riti legati alla Pasqua. E nell'attesa della processione, colpita dagli ultimi raggi del sole al tramonto, con le sue facciate degradate, attaccate dal trascorrere del tempo, la chiesa di San Nicola rappresenterà una quinta scenica perfetta per la celebrazione della Passione di Cristo. Con la speranza che il persistere del rintocco campanario di questi giorni di festa obbligherà almeno ad un esame di coscienza collettiva, confidiamo nella resurrezione architettonica  del "Tempio in Passione" 

Roberta Pantalone 
   

giovedì 17 aprile 2014

IL CUORE MALATO DELLA MIA CITTA


E' trascorso quasi un ventennio da quando ho iniziato la mia

attività nel centro storico come commerciante di prodotti

erboristici, ho visto il mio paese traformarsi in una città, ho

avuto la fortuna di conoscere altri commercianti che come me

hanno creduto nel centro storico e con i quali ho combattuto

molte battaglie, per difendere e migliorare le condizioni

ambientali, urbanistiche e sociali del cuore cittadino; molti

di questi commercianti però, non hanno resistito, nonostante

l'amore e la dedizione verso il loro lavoro sono stati costretti

a chiudere i loro negozi. A determinare il fallimento di molte

attività, è stata indubbiamente la crisi economica che ha

investito l'intero paese, ma non solo, la responsabilità è da

attribuire anche all'attegiamento di indifferenza assunto dalle

varie amministrazioni comunali che si sono susseguite negli

anni, le quali per troppe volte hanno volutamente ignorato i

 commercianti, riguardo alle condizioni sfavorevoli in cui erano

costretti ad operare, come ad esempio i parcheggi insufficienti e la

viabilità. L'inevitabile risultato è sotto gli occhi di tutti, viviamo in

una condizione di desertificazione, si patisce l'assenza di un'offerta

commerciale variegata e di qualità, che instauri un circolo virtuoso

di vivacità sociale che si sviluppi in un ambiente accogliente e

ospitale. Purtroppo sono molti gli esempi di locali che invece di

ospitare negozi vengono puntualmente occupati da uffici, studi

medici e sedi di partito, ciò spegne inevitabilmente ogni curiosità

da parte di potenziali clienti. Nei panni di una comune famiglia,

che senso ha spendere un pomeriggio a passeggiare in strade senza

vetrine, con uffici al posto dei negozi? Al posto dell'auspicato

circolo virtuoso ne abbiamo uno vizioso, fatto di cittadini che

preferiscono passegiare e fare shopping altrove, nessuna voglia di

investire in negozi che rischiano di diventare cattedrali nel deserto.

La questione è, dove intervenire per interrompere questa catena?

Da operatrice, sono questi gli argomenti che mi piacerebbe portare

al centro di una discussione dalla quale trarre soluzioni e non

polemiche. Un altro aspetto che trovo necessario evidenziare è

il modo in cui l'attuale amministrazione comunale ha affrontato

le problematiche del centro storico nell'ultima campagna

elettorale, nel corso della quale, prometteva di risolvere in breve

tempo il problema dei parcheggi, la pulizia dei marciapiedi e

la rivalutazione di Piazza San Vitale. Mi spiace molto dover

constatare che sono trascorsi due anni e la situazione non solo non

è migliorata, ma per alcuni versi è evidentemente peggiorata. Mi

auguro di essere riuscita ad attirare l'attenzione sul nostro amato

centro storico, non solo degli operatori commerciali direttamene

coinvolti, ma anche di chi in questo momento dispone degli

strumenti necessari per poter far fronte alle questioni da me

riportate.


                              Natalia Di Virgilio