giovedì 19 giugno 2014

C’ERA UNA VOLTA IL FIUME TRIGNO


Anticamente denominato Trinium (dal latino), in quanto nasceva da tre polle d’acqua alle falde del Monte Capraro, i primi 35 km scorrono totalmente in territorio molisano, mentre per altri 45 km il fiume Trigno segna il confine tra Molise e Abruzzo, fino a 6 Km dalla foce presso San Salvo. Nei miei ricordi di ragazzo, questi ultimi sei chilometri prima che il fiume si immerga nel mare Adriatico,  sono legati ai ricordi che ho di mio nonno e alle passeggiate che facevamo lungo le sue sponde, scendendo dall’altezza del vecchio ponte che collegava San Salvo a Montenero, verso la foce e viceversa. Le prime luci dell’alba ci vedevano già sul posto, l’aria era pungente  ma il sole cominciava timidamente a irradiare il proprio calore;  tutto intorno un’esplosione di colori, odori e “voci” e li in mezzo scorreva il fiume, limpido e brillante nel suo ampio letto ciottoloso. Solitamente costeggiavamo la sponda sinistra del fiume, caratterizzata da “terrazzi” ghiaiosi limitati per lo più da una vegetazione cespugliosa che di rado lasciava il posto a specie arboree ad alto fusto come pioppi e acacie, forse un ricordo di quello che un tempo era Bosco Motticce e che nella memoria di mio nonno figurava come un bosco ricco di alberi e piante varie e variegate, che si estendeva per diversi chilometri da sud a nord, meta di passeggiate per le genti locali.  Camminare mette sete e allora ci avvicinavamo all’acqua per bere. Era buona, fresca, sapeva di acqua. Sulla sponda opposta passa un’animale che sembra una volpe. Forse aveva la tana nei Calanchi argillosi che costeggiano la sponda destra del fiume. Allora non sapevo ancora cosa fossero i calanchi, a me sembravano creste grigie di dinosauri appoggiati sulla collina.
Ora so che sono un affascinante processo geomorfologico originato dall’azione dell’acqua e degli agenti atmosferici che producono solchi nei terreni impermeabili ma facilmente disgregabili, determinando incanalature profonde e strette, separate da creste rocciose esili, con pareti assai inclinate e costituiscono un ambiente di particolare valore naturalistico per la loro conformazione e per la flora e la fauna che ospitano. Poco più avanti della confluenza col canale Formale del Mulino, il fiume curvava con un ampia ansa all’interno dell’area alluvionale e li la mia visione si allungava, scivolando tra i campi coltivati della Piana della Padula. La superficie di ciottoli e sassi di infinite dimensioni e vari colori, mi sembrava enorme e anche il fiume appariva più ampio allungando il contatto tra acqua e terra, forse il preludio all’ultimo tratto prima della foce, dove il letto si restringeva formando dei canali tra diversi “isolotti” ricchi di biodiversità, e dove la vegetazione ripariale si infittiva  di cespugli, salici, pioppi e robinie e così noi tornavamo indietro. Ecco, forse fu allora che nacque il mio amore e rispetto per la natura che aveva creato quell’ambiente così bello e la curiosità di come il tempo, gli eventi e la magia che aveva formato, modellato e dato vita a quel paesaggio, mi ha fatto scegliere la mia professione.
Oggi che sono geologo sento sempre più spesso parlare di dissesto idrogeologico, ossia quell’insieme di processi morfologici dall’azione altamente “distruttiva” sul territorio. Ma le manifestazioni violente della natura come frane, inondazioni, straripamento di un fiume, ecc. sono fenomeni casuali, naturali e non prevedibili, che avvengono dall’alba dei tempi. La trasformazione di questi fenomeni in catastrofi e tragedie invece, è opera dell’uomo che, con le sue attività come abusivismo, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia degli alvei,  agricoltura intensiva, sversamenti di fluidi inquinanti, escavazioni di inerti senza controllo, ha alterato e distrutto il delicato equilibrio naturale  dei corsi d’acqua e dell’ habitat che li circonda, non ultimo quello del fiume Trigno. Ora che di mio nonno mi rimane solo il ricordo, mi è capitato diverse volte di ripercorrere quel tratto di fiume, scendendo dal vecchio ponte (che non esiste più perché crollato) o salendo dalla foce, ma trovandomi di fronte ad un quadro di deturpazione  devastante, che ti riempie il cuore di tristezza. Montagne di ghiaia e sabbia depredate dalle cave “autorizzate” e accumulate ai lati delle sponde, che nel medio e nel lungo periodo sono la cause principale dell'erosione delle coste per il mancato apporto al mare di materiale litoide, nonché dell’incisione del letto del fiume e del possibile crollo di ponti; cumuli di rifiuti, pneumatici, frigoriferi, plastica, vetro, polistirolo, legno, cartongesso e materiali di ogni genere che si fanno beffa di cartelli arrugginiti con su scritto “divieto di scarico”; sponde crollate per mancanza di vegetazione e per erosione dall’acqua costretta in deflussi innaturali, pozze di liquami maleodoranti e schiume fluttanti come candide nuvolette; condotte metalliche di prelievo “incontrollato” di acqua a servizio di appezzamenti coltivati al margine del corso d’acqua e non da ultimo il lezzo della discarica di Bosco Motticce (non ho mai capito perché quel posto si chiami ancora Bosco).
E’ stretto ora il letto del Fiume Trigno, guardo sull’altra sponda, quella molisana, ma non vedo nessuna volpe  passare e il mio dinosauro (calanchi) ha una ferita profonda provocata dalle ruspe. Ho sete ma non posso bere come facevo da ragazzo, la sua acqua è inquinata (è di questi giorni l’ennesima notizia del suo inquinamento, questa volta da salmonella) e sono triste.
P.S.:
Voglio concludere ricordando due cose:
La prima è che il Sito di Importanza Comunitaria IT7140127  interessa  il medio e basso corso del Fiume Trigno in provincia di Chieti, nel tratto compreso tra Celenza sul Trigno e San Salvo. Si tratta di un’area molto rilevante dal punto di vista naturalistico che necessita, perciò, di forme di tutela ambientale che allo stato attuale sono completamente assenti.
La seconda è una citazione del punto 4 della Carta della Terra redatta dall’UNESCO nel 2000:  “LA NOSTRA STORIA E QUELLA DELLA TERRA SONO INSEPARABILI; LE SUE ORIGINI E LA SUA STORIA SONO LE NOSTRE, IL SUO FUTURO SARÀ IL NOSTRO FUTURO". 

Pino Ciavatta

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