mercoledì 23 aprile 2014

LA STORIA DI JACK

Jack è un pastore tedesco abbastanza avanti con gli anni. E' solo, forse abbandonato anni fa da qualcuno, che per qualche motivo, non ha potuto più prendersi cura di lui.
Un cane dalla mole grossa e con un cuore ancora più grande.
Chiunque, nel quartiere in cui vivo, conosce Jack. Ogni abitante ha messo almeno una volta a sua disposizione  una ciotola di acqua pulita o del cibo, lui ringrazia con gli occhioni immensi e consuma la sua razione di pasto.
Jack è un cane buono, non fa male a nessuno, i bimbi gli passano accanto e lui li riempie di amore, di quell'affetto che solo gli esseri speciali sanno donare agli altri.
Jack è solo uno dei tanti cani, che a volte, si incontrano sulle strade della nostra città, non chiede nulla e in silenzio accetta tutto ciò che il buon cuore di qualcuno gli dona.
Avere un cane, prendersi cura di un animale domestico, è un sacrificio. Bisogna provvedere a tutti quelli che sono i suoi bisogni, ma ciò che riesce a donare un piccolo amico è molto di più: è gioia, feste continue, affetto, fedeltà, è amore incondizionato.
 Prendiamoci cura dei nostri amici a quattro zampe, anche quando li troviamo abbandonati ai bordi delle strade, è un gesto di amore oltre che di civiltà!

Roberta D'Adamo

martedì 22 aprile 2014

IL GIORNO DELLA TERRA.


E’ stato il vento il mio primo approccio cosciente, con il mondo che mi circonda. Ero una bimbetta di pochi anni, ricordo il terrazzo di mia nonna, sul quale stendeva le lenzuola al sole, ne ricordo ancora il calore, ed ho ancora nitida l’immagine di me che mi nascondo tra quelle lenzuola, tirate dal vento come vele.
Ancora oggi è il vento che mi inquieta  e mi rende cosciente a volte con la sua irruenza di maestrale, a volte con la sua dolcezza di brezza mattutina, che siamo ospiti su questa terra.
La nostra Casa Terra,  diventa sempre più povera. Continuiamo a perdere le nostre risorse più importanti, consumatori ignoranti di quanto crediamo inesauribile.
Non servirà citare statistiche o specie in estinzione, questi dati ci vengono propinati a scadenza annuale da trasmissioni specializzate e li assorbiamo come se fossero il fastidioso tentativo di un venditore di pentole di venderci il suo prodotto. Credo sia più chiara per tutti la semplice affermazione, che se continuiamo con questo stile di vita, la nostra Casa cadrà a pezzi entro la fine di questo secolo.
La nostra specie, sarà estinta, i nostri figli, vedranno morire i nostri nipoti.
La nostra educazione, ha un immenso deficit, non siamo avvezzi al rispetto. Siamo educati all’onnipotenza, a credere che tutto ci sia dovuto, a credere che tutto sia stato creato a nostro uso e consumo.
Non c’è nulla di più errato. Siamo una componente, a volte superflua, di un ecosistema, che non ha bisogno di manipolazioni per essere assolutamente meraviglioso.
Dovremmo ad esso e a noi stessi, il tentativo di concepire un modus vivendi, che sia integrato con la Casa che ci ospita, e mettere fine in modo definitivo a tutti quegli atteggiamenti irrispettosi che mettono a rischio tutti noi e la Terra che ci ospita.
Facciamo parte di un tutto, non siamo al vertice di una piramide, dovremmo tornare ad imparare a chiedere alla nostra Terra, solo ciò che ci serve per vivere.
Nascemmo 50.000 anni fa come esseri nomadi, che prendevano  solo ciò che gli serviva.  Abbiamo cominciato a sfruttare la nostra Casa Terra da soli 10.000 anni, quando cominciammo ad essere stanziali.
Ci siamo auto reclusi in case sempre più chiuse che ci impediscono il contatto con l’esterno. Ci muoviamo in scatole di metallo e attraverso un finestrino, osserviamo le immagini che corrono veloci di un mondo che percepiamo sempre più come una scenografia ad uso e consumo di noi poveri teatranti. Ma il “nostro animo è nomade” come ebbe a dire Bruce Chatwin, ed è da qui che nascono molte delle nostre inquietudini, molti dei nostri malesseri.
Oggi festeggiamo la Terra, parliamo in tutto il mondo dei suoi dolori, proponendo delle cure. Si muovono nazioni, personaggi pubblici, capi di stato. Tutti noi, nel nostro piccolo, potremmo fare una cosa immensa, provvedere nel nostro futuro quotidiano alla cura di ciò che ci circonda, non delegando. Chiarendoci il perché di: trivellazioni nei nostri mari, veleni nei nostri fiumi, discariche abusive sui nostri terreni, immondizia sulle nostre strade.
Non ci staremo prendendo cura di qualcosa che è altro rispetto a noi, ma ci staremo occupando di noi stessi.

Antonia Schiavarelli











sabato 19 aprile 2014

LA CITTÀ CHE VORREI

Da quando mi trovo nella mia città, non sempre riesco ad essere spontanea. La mia è una quotidianità molto diversa da quella che mi aspettavo di vivere. Talvolta mi trovo a riflettere sul significato che possa avere, ai nostri tempi, il recupero della propria identità d’origine. San Salvo non è il paese dove ho scelto di tornare circa dieci anni fa. Nel passato ho cercato più volte di allontanarmene e ci sono anche riuscita, perché in fondo stare qui mi rende pigra, rassegnata, costretta. Dunque, cosa mi trattiene qui e, soprattutto, perché insisto?  Forse perché per me San Salvo è un po’ “Macondo”.

Macondo, una città fatta di specchi che riflette dentro di sé il mondo ed io, un po’ Josè un po’ me stessa, credo ancora si possa guarire dall’ignoranza e dal non vivere. Proprio come Macondo, la mia San Salvo nel tempo è cambiata in modo condizionato, in preda a eventi incontrollabili e straordinari che l’hanno sconvolta; la mia città ha assorbito ogni imprevisto, capace com’è di recepire novità e di accoglierne le conseguenze, adattandosi e modificandosi, incapace di evitare le ripetute e spesso autoprodotte disgrazie. Marquez ripete il tempo, i fatti e la vita per stigmatizzare l’inesorabilità e la forte dicotomia tra vivi e morti. E noi? Qual è il nostro ruolo? Noi possiamo opporci alla ripetitività e all’accettazione dell’inesorabilità dei fatti. Non siamo costretti ad accettare l’uragano! Ciascuno di noi può, se ne è convinto, recuperare se stesso, l’appartenenza al proprio mondo, al proprio vissuto e determinarne l’evoluzione futura. Nelle considerazioni apparse su questo blog, mi ha colpito molto la descrizione che fa Natalia della piazza, luogo di scambio di servizi non sempre socializzanti. A San Salvo manca la piazza come luogo di socializzazione, di incontro e di scambio di rapporti sociali. Non mi va di esaminare le ragioni socio – economiche e politiche che hanno determinato questa condizione, ma mi piace sottolineare la necessità di cambiamento. Recuperiamo la nostra città, partiamo da noi stessi, viviamo la città, occupiamone gli spazi, anche se per pochi minuti al giorno. Discutiamo di cultura, apriamo un dialogo con tutti, perché è qui che crescono i nostri figli. Permettiamo ai nostri figli di conoscerla come l’abbiamo vissuta noi e di apprezzarla a chi pensa che San Salvo non abbia avuto un passato fatto di persone che l’hanno amata. San Salvo ha ospitato due cinema, una stagione teatrale, molti circoli culturali, la piazza e i negozi, le tradizioni e le innovazioni, gli stranieri e i “forestieri” (come li chiamavano i nostri nonni), le aziende, le fabbriche, la politica e il confronto. Permettiamo a San Salvo di nascere a nuova vita. È il senso della Pasqua, l’incipit vita nova, no? È una questione di volontà, oltre che di coscienza.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950.



Angela Evangelista

venerdì 18 aprile 2014

LA PASSIONE DEL TEMPIO


Da sempre il campanile di una chiesa è il segno più eloquente per l'identificazione urbana e culturale di una città e della comunità in tutta la sua interezza.
Le chiese creano intorno a loro un tracciato urbano di cui rappresentano il fulcro, davanti al quale si dispone la vita quotidiana delle persone, fatta di attività, incontri discussioni. Sono luoghi che generano aggregazione, dai quali nasce e cresce il tessuto sociale.
Da sempre il suono delle campane parla un linguaggio pubblico oltre che sacrale: i rintocchi scandiscono le attività giornaliere, proclamano alla collettività eventi da condividere, allertano la popolazione in caso di spiacevoli accadimenti.
La valenza di questi luoghi non è solo religiosa ma sociale, sarebbe, quindi, riduttivo considerarli solo luoghi di culto. Appartengono di conseguenza, al complesso di beni culturali di cui la comunità cristiana fruisce, ma che l'intera cittadinanza dovrebbe voler tutelare, recuperando la propria dimensione storica e culturale.
È necessario pertanto, che da questo luogo, in cui spesso si evidenzia la dispersione delle radici cristiane, sociali e della memoria storica, si denunci anche lo stato di DEGRADO della propria chiesa.
La parrocchia di San Nicola, pur essendo la più giovane delle chiese della nostra città, sembra essere quella più colpita dagli effetti del tempo.
La pioggia, il vento, il sole dialogano con le pietre, i marmi, gli intonaci: i materiali vengono forgiati in modo tale da modificarsi nel tempo, l'uso degli stessi diventa parte integrante della vita di un'architettura, ma è impensabile che un luogo possa cristallizzarsi e che tutto rimanga intatto.
Il tempo deposita sulla superficie delle cose il peso degli anni, corrode gli edifici, e fa in modo che qualsiasi opera prodotta dall'uomo subisca mutamenti che la fanno invecchiare.
Quel tempo che passa e lascia il segno sui volti delle persone, così come sui luoghi e sulle sue architetture.
Non è il "culto del corpo" la sua cura, ma l'attenzione rivolta ad esso, alla sua pelle.
Come un palazzo storico, un monumento, ancor di più una chiesa, per tutto ciò che rappresenta, va amata e tutelata come un corpo vivo affinché non soccomba a quel processo inarrestabile di decadimento provocato dal tempo.
È indispensabile che l'intera  comunità cittadina sia attenta alle vicissitudini di una parrocchia come quella di San Nicola. Esiste un problema, ed è urgente chiedere a chi di dovere o all'interno delle istituzioni civili ed ecclesiastiche, di stanziare fondi per il proprio patrimonio e per la tutela e l'incolumità dei propri fedeli.
È impensabile, che nell'attesa di un 'eventuale' finanziamento delle opere di ristrutturazione, non si possa trovare una soluzione alternativa per reperire tali fondi nell'immediato.
Oggi i fedeli saranno richiamati a raccolta per celebrare i consueti riti legati alla Pasqua. E nell'attesa della processione, colpita dagli ultimi raggi del sole al tramonto, con le sue facciate degradate, attaccate dal trascorrere del tempo, la chiesa di San Nicola rappresenterà una quinta scenica perfetta per la celebrazione della Passione di Cristo. Con la speranza che il persistere del rintocco campanario di questi giorni di festa obbligherà almeno ad un esame di coscienza collettiva, confidiamo nella resurrezione architettonica  del "Tempio in Passione" 

Roberta Pantalone 
   

giovedì 17 aprile 2014

IL CUORE MALATO DELLA MIA CITTA


E' trascorso quasi un ventennio da quando ho iniziato la mia

attività nel centro storico come commerciante di prodotti

erboristici, ho visto il mio paese traformarsi in una città, ho

avuto la fortuna di conoscere altri commercianti che come me

hanno creduto nel centro storico e con i quali ho combattuto

molte battaglie, per difendere e migliorare le condizioni

ambientali, urbanistiche e sociali del cuore cittadino; molti

di questi commercianti però, non hanno resistito, nonostante

l'amore e la dedizione verso il loro lavoro sono stati costretti

a chiudere i loro negozi. A determinare il fallimento di molte

attività, è stata indubbiamente la crisi economica che ha

investito l'intero paese, ma non solo, la responsabilità è da

attribuire anche all'attegiamento di indifferenza assunto dalle

varie amministrazioni comunali che si sono susseguite negli

anni, le quali per troppe volte hanno volutamente ignorato i

 commercianti, riguardo alle condizioni sfavorevoli in cui erano

costretti ad operare, come ad esempio i parcheggi insufficienti e la

viabilità. L'inevitabile risultato è sotto gli occhi di tutti, viviamo in

una condizione di desertificazione, si patisce l'assenza di un'offerta

commerciale variegata e di qualità, che instauri un circolo virtuoso

di vivacità sociale che si sviluppi in un ambiente accogliente e

ospitale. Purtroppo sono molti gli esempi di locali che invece di

ospitare negozi vengono puntualmente occupati da uffici, studi

medici e sedi di partito, ciò spegne inevitabilmente ogni curiosità

da parte di potenziali clienti. Nei panni di una comune famiglia,

che senso ha spendere un pomeriggio a passeggiare in strade senza

vetrine, con uffici al posto dei negozi? Al posto dell'auspicato

circolo virtuoso ne abbiamo uno vizioso, fatto di cittadini che

preferiscono passegiare e fare shopping altrove, nessuna voglia di

investire in negozi che rischiano di diventare cattedrali nel deserto.

La questione è, dove intervenire per interrompere questa catena?

Da operatrice, sono questi gli argomenti che mi piacerebbe portare

al centro di una discussione dalla quale trarre soluzioni e non

polemiche. Un altro aspetto che trovo necessario evidenziare è

il modo in cui l'attuale amministrazione comunale ha affrontato

le problematiche del centro storico nell'ultima campagna

elettorale, nel corso della quale, prometteva di risolvere in breve

tempo il problema dei parcheggi, la pulizia dei marciapiedi e

la rivalutazione di Piazza San Vitale. Mi spiace molto dover

constatare che sono trascorsi due anni e la situazione non solo non

è migliorata, ma per alcuni versi è evidentemente peggiorata. Mi

auguro di essere riuscita ad attirare l'attenzione sul nostro amato

centro storico, non solo degli operatori commerciali direttamene

coinvolti, ma anche di chi in questo momento dispone degli

strumenti necessari per poter far fronte alle questioni da me

riportate.


                              Natalia Di Virgilio

mercoledì 16 aprile 2014

UN UOMO NUOVO

Ogni tanto la vita ci costringe ad una fermata, dono doloroso quando, inaspettata, ferma tempo e libertà di movimento.  Sul comodino, uno sull’altro, come la torre di costruzioni che il mio angioletto prova a fare nel suo lettino di ospedale, i miei libri. Il primo sul quale poggiano sempre gli altri è la Bibbia. Mi fanno compagnia sempre e da sempre, o almeno da quando ho imparato che le lettere sono capaci di creare e donare un elenco interminabile di bellezza. 

Di Bellezza ho necessità mai sazia.  “In ogni libro che ho letto c’era una frase , una lettera, un racconto che era stata scritta solo per me” e così ho iniziato ad appuntarle nella memoria di carta.

Mentre preparavo la borsa per questo viaggio nel bianco ho rubato veloce, dalla scatola semiaperta dell’ultimo ordine, centoventisette pagine rilegate di giallo ed intitolate  in” Alto a Sinistra” di Erri De Luca. Ero affascinata dalla combinazione di direzioni  che un po’ somigliano al mio modo di guardare l’orizzonte. 

Per questo ho cercato avidamente il motivo del titolo dal primo racconto. L’ho trovato nell’ultimo.

Era nascosto nel dialogo tra lo scrittore ed il padre che sta accompagnando nell’ultimo tragitto del suo lungo viaggio nella vita :

“-  Presto riavrai la tua libertà, avrai la libertà di tornare ai libri, l’unica cosa che ti lascio, l’unico posto dove l’esperienza che uno fa nel mondo trova le parole di accompagnamento.- Li aveva portati tutti da me quell'anno. Voleva bene ai suoi libri. Tutti . Gli piaceva la forma, l’ingegnoso sistema delle pagine sottili legate lungo la costola, capaci di contenere tanta materia narrata….- La morte è il Messia, ha scritto Isaac Singer. E’ proprio questo per me. In mancanza di fede l’aspetto con questa sola ansia: capire i libri. Ognuno capirà quelli che ha amato. Saprò quali avrei dovuto rileggere, quali ho mancato di conoscere. Mi aspetto dalla morte una biblioteca sterminata e anche la buona vista della gioventù … - Babbo ci vogliono troppi miracoli insieme per fare succedere quello che speri. Sei  esigente per essere un uomo senza fede. – Mi è bastata la fede degli altri. In alcune vite di quelle persone ho visto l’impronta digitale di Dio, così come resta nei libri sacri del loro credo. Sono un testimone secondario, non ho visto l’orso ma ho trovato le orme, un alveare saccheggiato, indizi insomma di un passaggio. -  I libri insegnano ai ricordi, li fanno camminare. Li ho letti per intero, non ne ho lasciato nessuno a mezzo, per quanto fosse deludente o presuntuoso l’ho seguito fino all’ultima linea. Perché è stato bello per me girare la pagina letta e portare lo sguardo in alto a sinistra, dove la storia continuava. Ho girato il foglio sempre alla svelta per proseguire da quel primo rigo, in alto a sinistra.

Uno solo di noi fu il primo, ma tutti potremo essere gli ultimi. Poi si arriva a questa sala di attesa, attaccati a un impianto a goccia nelle vene, e ci si aggiusta al rango di penultimi. Percio’ ti dico di amare di più il tuo tempo, perché potrebbe essere quello del Messia. Allora uscendo di casa al mattino per andare al cantiere metterai le spalle a nord e vedrai spuntare quel giorno dietro le case, il profilo dei campi, dietro il recinto, a est, in alto a sinistra.”

Nel silenzio di questa notte ho trovato l’ennesimo racconto scritto per me. Ho girato per anni le pagine di libri e mai ho saputo raccontare la bellezza di quel “in alto a sinistra”; di quel  nuovo inizio che c’è ogni volta che giri pagina; del ricominciare a leggere, del ripartire dal primo rigo per arrivare all’ultimo e poi ancora, ancora… verso il risveglio di un paese che amo, nella costruzione di un domani comune a tutti e per tutti in egual misura in ogni angolo del mondo, fino all’in alto a sinistra della vita che si nasconde nel terzo giorno dopo la Pasqua, in quel sepolcro che le donne trovarono vuoto. 

Sono pochi gli uomini e le donne nelle cui vite si vede l’impronta digitale di Dio, anche se io ho avuto il dono di incontrarne diverse, una in particolare. Ho fiducia però in  Colui che è l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine; nella speranza che mai quieta cerca sempre un nuovo inizio e che dimora nel cuore dell’uomo, di ogni uomo. 

 L‘« ordine nuovo»incomincia se qualcuno si sforza di divenire un «uomo nuovo ».

La primavera incomincia con il primo fiore,

il giorno con il primo barlume,

la notte con la prima stella,

il torrente con la prima goccia,

il fuoco con la prima scintilla,

l'amore con il primo sogno.



La speranza è la faccia di Dio,

quale si scopre di momento in momento

secondo il volto delle nostre disperazioni.

Poiché tutte le speranze,

anche le più tenui, le più fragili,

perfino i sogni e le illusioni,

appartengono alla speranza.



Un niente basta a far battere un cuore,

come un niente lo può fermare.

E se un niente può fermarci sull'abisso,

la speranza fa suo questo niente;

vi si incarna, ne prende il volto e la voce.



La speranza vede la spiga

quando i miei occhi di carne

vedono solo  che il seme marcisce.” Primo Mazzolari



S.C.

lunedì 14 aprile 2014

DIRITTI IN ATTESA

Quando mi capita di dover pagare i ticket ospedalieri e vi è la necessità di recarsi al CUP, mi viene in mente la scena del film "Benvenuti al nord", in cui un professionalissimo Bisio, davanti a una platea di dipendenti e amministratori, incita gli stessi ad aderire al motto "efficacia, efficienza e rapidità".
Ebbene io non ho mai trovato nessuna di queste tre cose, nemmeno per sbaglio sotto una seggiola aspettando il mio turno.
Parcheggi l'auto, entri, e già dalla porta a vetro intravedi: anziani, donne con passeggini e gente comune occupare tutti i posti a sedere, con calma e pazienza prendi il tuo numero, come al banco dei salumi di un qualsiasi supermercato della grande distribuzione e osservi...
Prima di te ci sono circa 30-35 numeri. Lo sguardo cade su un cartello scritto a penna, sul quale si legge: "si erogano solo 70 numeri", guardi il tuo e pensi "ah sono stata fortunata, ho il numero 68" ti metti a sedere e continui ad osservare.
Guardando bene scorgi un altro cartello, scritto invece al pc, che recita più o meno così "finiti i numeri erogati non sarà garantito il servizio".
Intanto ti siedi, l'occhio cade sulle bacheche che indicano le prestazioni: visite specialistiche, laboratorio analisi ( a proposito durante la mia prima gravidanza avevano smarrito il risultato di un analisi del sangue che avevo fatto per donare il sangue del cordone ombelicale di mio figlio... Ma questa è altra storia), medicina dello sport, ginecologia, endocrinologia,dermatologia, servizi sociali e chi più ne ha più ne metta che detta così suona davvero bene, cosa pretendi di più?!
Nulla, se non fosse che poi l'orecchio cade sul discorso di un anziano, che  per parlare con la signora addetta alla cassa, deve alzare il tono della voce, perché il vetro che li separa è talmente spesso che anche Bocelli farebbe fatica a farsi sentire, "sa devo prenotare questa tac, ho un problema serio al fegato"... " si signore dove la vuole fare?!"
Milano sarebbe l'ideale se non fosse a circa 600 km da qui! Che domande fa?! Abitiamo a San salvo, a 5 minuti  di auto c'è l'ospedale...
" Vorrei farla a Vasto, sa non ho possibilità di spostarmi verso Lanciano, Chieti o Gissi".
La signora dall'altra parte scuote la testa, inserisce i dati e esclama: "Il primo posto libero è a gennaio 2015"...
Potrebbe finire il mondo, arrivare uno tzunami, una inondazione... o fatto ancor più grave, il paziente arrivare troppo tardi all'appuntamento e compromettere il già precario stato di salute.
E allora ti fermi, ringrazi il Signore  di non aver bisogno urgente di prestazioni serie e importanti, ti indigni di tutto ciò, pensi che quell'anziano potrebbe essere tuo nonno, la signora accanto tua madre, la ragazza col piccolo tua sorella ed esclami: "Ma perché?! Ma perché siamo arrivati a questo punto, perché ciò che è un nostro diritto diventa un privilegio, perché dall'altra parte del vetro non c'è gente pronta a risolvere questo genere di problemi, perché dopo aver aspettato circa tre ore per parlare con il dipendente devi, dobbiamo, sentirci dire queste cose?!:
È inaccettabile, è inconcepibile in un paese civile, lo e' ancora di più in una cittadina come la nostra che raccoglie utenze di migliaia di persone.
Perché le amministrazioni non entrano prepotentemente in questi luoghi e alzano la voce per noi, per i cittadini che oltre alle belle rotonde e alle spiagge pulite vorrebbero trovare servizi "efficienti, efficaci e rapidi"?!?!

Roberta D'Adamo.

domenica 6 aprile 2014

IL TEMPO SÌ È FERMATO


In quelle stanze, in cui il tempo si è realmente fermato...
L'Aquila 6 aprile ore 3:32 del mattino....

5 anni dopo:  ....
Impalcature, gru, strade affollate di camion con materiale da "ricostruzione", carpentieri che urlano la loro esperienza alle proprie squadre, fatte di uomini lavoratori arrampicati ovunque, l'eco delle loro voci, che si diffonde tra gli scheletri strutturali in calcestruzzo.
Demolizioni, Ricostruzioni.

Intanto IL TEMPO, inevitabilmente, PASSA.
Si alternano stagioni, commissari delegati, normative da seguire....colori politici.
Il tempo passa e puntuale arriva un nuovo 6 aprile e un nuovo rapporto governativo da stilare: quanto è stato speso, cosa è stato fatto, quanto si dovrà ancora spendere, dove sono finiti alcuni finanziamenti e soprattutto dove e come reperirne altri.
Inesorabilmente arriva un nuovo 6 aprile e una nuova fiaccolata di commemorazione di 309 VITTIME, per le quali nessun tipo di finanziamento sarà mai in grado di risarcire le loro vite e il dolore delle loro famiglie.
Inchieste, reportage, storie da raccontare e pagine di giornali da riempire, puntualmente scritte...ma SOLO il 6 aprile.

Il tempo passa e occorre prendere tempo per giustificare la mancanza/sparizione di quelle risorse economiche destinate alla ricostruzione:
la burocrazia è sempre stata fedele alleata e di enorme aiuto in queste scomode circostanze.

Ed è così, che quel tempo si aggroviglia intorno alle continue richieste burocratiche:
calcoli, rilievi fotografici...tanti...
pratiche, integrazioni alle pratiche, varianti, varianti alle varianti, ancora altre pratiche, continue scartoffie da compilare. 
La burocrazia si materializza in quei labirintici uffici da percorrere, occupati da cinici tecnici "incaricati" a far perdere tempo, compiaciuti dal loro potere decisionale sull'andamento di ogni, singolo, protocollo edilizio.

Così giorno, dopo giorno, l'Aquila assume le sembianze di un paziente in rianimazione, in cui si sono dimenticati di riattivare il cuore del centro storico, ma intanto si alimenta lentamente  la sopravvivenza del tessuto urbano periferico, per evitare il rischio fallimentare di perdere definitivamente il 'paziente assistito'.

Così, quotidianamente, si incontrano i suoi cittadini, in un clima inevitabile di rabbia e rassegnazione...confrontandosi con il dolore di alcuni e la furbizia di tanti altri.

E Armati di caschetti, metri, fettucce, piante di interni...aprendo a fatica quelle porte scardinate dal sisma, si entra in quelle stanze, in cui la sensazione ė sempre la stessa, ogni volta, anno dopo anno: 
IL TEMPO SI È FERMATO
Gli orologi di quelle stanze segnano "puntuali" le 3 e 32...di quel 6 APRILE 2009.

Roberta Pantalone      

sabato 5 aprile 2014

ASPETTANO GODOT

Chi aspettava Godot si rendeva conto del tempo che passava prestando attenzione alle foglie che cadevano dall'albero.  I cambiamenti hanno sempre segnato il tempo, hanno sempre segnato un prima ed un dopo necessariamente diversi. Da alcuni mesi in Italia la politica ha generato un vento che sta alleggerendo gli alberi dalle vecchie foglie e li sta rinvigorendo con nuovi germogli. Il vento italiano si chiama Matteo Renzi e non c'è stato partito che non sia stato  colpito , nel bene o nel male, da tale maestrale. Ovviamente se c'è un partito che maggiormente ne ha tratto giovamento quello è stato il suo, il Partito Democratico. Un partito che si è rinnovato in tutti i suoi organismi, si è ricaricato della spinta propulsiva smarrita, è tornato a dettare l'agenda politica del paese, è tornata ad essere una forza aggregante capace di generare consensi, curiosità ed aspettative; in breve il Partito Democratico è tornato a piacere ed anche i più scettici se ne sono dovuta fare una ragione. Purtroppo, da abruzzese,  provo un non celabile fastidio nel constatare che nella mia regione il vento di Renzi non sia stato utilizzato per gonfiare le vele di una nave immobile in balia della calma più assoluta, né tantomeno per alleggerire i rami da foglie puramente ornamentali. Eppure il soffio c'è stato, lo abbiamo sentito tutti, tranne chi è rimasto al chiuso di una sezione protetto da porte e finestre rigorosamente chiuse. Quello che in epoche lontane veniva definito l'apparato è rimasto lo stesso del PD targato Bersani. Senza esagerare è come se un cartografo del 1600 avesse fatto finta che Colombo si fosse limitato a gironzolare per il Mediterraneo. Il problema è che l'America esiste e tutti, tranne il cartografo anacronistico, ne sono a conoscenza. Paolucci può far finta che nulla sia accaduto l’ 8 Dicembre 2013 ma a tener serrate le porte delle sezioni, non fa altro che impedire alle stesse di godere il bel tempo che si respira fuori.

Tony Mariotti
Saul Leiter, Parigi 1959
grazie a Stefano Brandi

TUTTI ASPETTANO IL BEL TEMPO


"Il bel tempo" è un auspicio, una propensione al bello che potremmo essere e avere.
Nasce dall'idea di un gruppo, quello riunitosi nell'associazione "San Salvo Adesso", per poter esprimere le proprie idee, ed offrire spazi a chi, con noi, ne vuole condividere altre.
"Il bel tempo" è un progetto. "Il bel tempo" è uno spazio di lavoro e di impegno.

"L'aria aveva una densità ingenua, come se l'avessero appena inventata.“
Gabriel García Márquez