venerdì 23 maggio 2014

L'IMPORTANZA D'ESSERE EUROPEI

 

 THE IMPORTANCE OF BEING EUROPEAN

C'erano una francese, un'albanese, un irlandese, due, tre a volte anche più spagnoli e un'italiana.
Sembra l'inizio della classica barzelletta da ombrellone, invece è la testimonianza reale di un'esperienza all'estero condivisa, nel vivere quotidiano, nella città più multietnica e globalizzata d'Europa: Londra.
A Londra la crisi economica europea è evidente, tangibile, concreta: si incontra nei pub, nei café, alle fermate metro.
"The next stop is Piccadilly Circus" - ma la sensazione è quella di trovarsi a Plaza Mayor, se non fosse per i neon accecanti della famosa piazza inglese.
Non è stato un caso, né una coincidenza, l'aver condiviso l'appartamento con 5 spagnoli su 6 coinquilini. La presenza italiana oltremanica non è da meno, preceduta, solo pochi anni fa, dalle invasioni galliche dei cugini francesi.
Il punto di ritrovo della combriccola internazionale era un café su Oxford Street.
Si parlava e si affrontavano gli argomenti più disparati, con l'intento di migliorare la conoscenza della lingua inglese, consapevoli se non allora, ma di sicuro ora, che il bagaglio personale e culturale, al rientro, avrebbe contenuto molto di più di nuovi termini inglesi, e che il suo peso, avrebbe raggiunto un valore inestimabile.
Le conversazioni si facevano più interessanti, quando oltre alla presenza di altri stati membri europei, si aveva la fortuna di interagire con quelli extraeuropei e il tavolo assumeva una connotazione mondiale, simil Nazioni Unite.
La ragazza francese ha imparato, da altre libiche, che indossare il velo non è un tentativo di minaccia sociale o terroristico, nè un obbligo o una punizione dettata dai loro governi iperconservatori, ma una semplice appartenenza culturale di cui vanno fiere e senza il quale si sentirebbero nude.
La ragazza albanese, con ferite ancora aperte per una guerra che ha segnato la sua infanzia e con gli occhi ancora pieni di rancore, ha imparato che i suoi coetanei confinanti, non sono folli sovversivi, ma anche loro vittime di conflitti estranei alle loro semplici esistenze, all'epoca, di inconsapevoli bambini balcanici.
Quella stessa ragazza, per orgoglio personale e per uno spiccato senso nazionalistico, alla fine ha confessato, di provare una sana invidia per quella mancata appartenenza europea, se non altro per il semplice fatto di poter scorrazzare liberamente, come Noi, cittadini europei, senza confini, dogane, visti e soprattutto tentare nuove esperienze lavorative, o semplicemente studiare, senza doversi preoccupare di innumerevoli cavilli burocratici.
Io ho imparato, che il mio Paese è molto più amato all'estero che in casa Nostra e ha delle potenzialità enormi che tutto il mondo ci invidia, ma che nessuno teme, proprio perché appartenenti ad un popolo poco credibile ed inaffidabile; anche se in molti preferirebbero l'Italia, nel ruolo trainante della poco simpatica Germania.

A Londra, come in ogni parte del mondo, il Made in Italy è sinonimo di qualità, perfezione, una garanzia di stile e buon gusto.
In un Sainsbury's gli scaffali della nostra pasta abruzzese De Cecco in "offerta"(considerando le sterline), venivano letteralmente assaliti. Una pasta di alta qualità ed economicamente poco accessibile se non in promozione, come la maggior parte dei nostri prodotti italiani. In un pub di Candem Town, avere a disposizione la birra Peroni, costituiva un vanto, da pubblicizzare ovunque; e diciamoci la verità la Peroni non è di certo la nostra birra più pregiata. L'olio extravergine d'oliva rigorosamente italiano, era considerato oro puro dai coinquilini, da utilizzare con il contagocce e solo in occasioni speciali.
In una classe europea, l'Italia sarebbe il classico ragazzino definito scolasticamente, intelligente, pieno di risorse, ma che non si applica.
"What's wrong with you?" - Quel'è il vostro problema? - Era la domanda, alla quale venivo quotidianamente sottoposta, da chiunque, qualsiasi fosse la provenienza dell'interlocutore.
La risposta più immediata: la lunga crisi degli ultimi anni travolgente e una classe politica inadeguata, ormai tappezzeria impolverata delle sedie parlamentari. Poi c'è la risposta più difficile da comprendere e da spiegare, ma soprattutto da ammettere con noi stessi: la mentalità italiana del "non è colpa mia", così difficile da sdoganare, ma così facile da convincere con urla e schiamazzi politici, comizi populisti per niente costruttivi, peraltro a pagamento. Questo modus vivendi tutto nostrano fatto di accuse, frasi fatte, concetti fuorvianti ben impacchettati, da propinare a chi ha paura di mettersi in gioco o semplicemente poco capace di affrontare le responsabilità del rischio, di trovare soluzioni ai problemi.

Del resto è più semplice pensare che l'inadempienza produttiva, economica, governativa, non sia nostra responsabilità. È più comodo indossare i panni di "vittime dei crucchi" che quelli di un FALLITO che non è in grado di gestirsi.
Non a caso, i partiti antieuropeisti dilagano, e in quelli europeisti, le Minoranze, SILENZIOSE, in piena campagna elettorale, sono interessate solo ad un risultato che possa permettere loro di giudicare un governo mai digerito, sebbene sia dello stesso colore. Peccato che in gioco ci sia l'Europa.
Siamo stremati dal solito martellante ritornello: è colpa della Germania, strappiamo i trattati, saltiamo sui banchi, marciamo su Roma.
Utilizzando un parallelismo calcistico, é un po' come se il Sassuolo a seguito di una stagione deludente, a rischio retrocessione, chiedesse alla Juventus di strappare le regole del gioco del calcio, peraltro concordate da tutte le società partecipanti. Eppure la Juventus fino a qualche anno fa, era una squadra di serie B, così come la Germania quando era ancora divisa dal muro di Berlino; ma rispettando le stesse regole, oggi è la prima in classifica. Eppure l'Italia, per storia, cultura, risorse, potrebbe essere benissimo paragonata non al Sassuolo, nemmeno ad una società vincente come la Juventus, ma dovrebbe non accontentarsi, aspirare al meglio, diventare, per esempio, l'Inter, specifichiamo subito, quella del Triplete (per le donne e per chi non segue: quella che sbaragliò tutto e tutti, vincente su ogni fronte, anche in Europa).
Ma occorre passione per progettare un'idea comunitaria, coraggio per poterla costruire, ambizione per poter raggiungere i massimi livelli.
È evidente, l'Europa è tutt'altro che perfetta, è un progetto ancora tutto da costruire, ma ha già dimostrato di poter funzionare, fornendo vantaggi enormi che utilizziamo tutti quotidianamente, ma che non vediamo più, solo perché ormai scontati.
Vantaggi non affatto scontati per quei ragazzi extraeuropei seduti a quel tavolo insieme a Noi cittadini comunitari a parlare della "Nostra Patria Europa", come la definiva De Gasperi, padre fondatore Europeista e politico lungimirante, in un discorso del '54, ancora tutto attuale.
È proprio Discutendo intorno a quel tavolo, nella fredda Londra a sorseggiare un simil caffè che Michelle, Mathilde, Raul, Enrique, Roberta, Christophe, Andreza, hanno imparato...The IMPORTANCE of being EUROPEAN.

ROBERTA PANTALONE


 
Roberta nasce a Lanciano
il 15 agosto del 1983.
Si laurea in ingegneria
edile/architettura nel 2009.
La passione politica nasce
grazie a Matteo Renzi,
con le primarie del 2012,
divenendo una dei fondatori
del comitato San Salvo Adesso
a sostegno della candidatura
del nostro attuale segretario.
In borsa ha un libro, una matita
e un Moleskine. Corre le Strade.

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